Tiziana Cordani, da Le Donne di Madoi, 2006

Il femminino di Madoi
Sovente ho scritto o conversato sul femminile nell’ arte, poichè ho sempre amato quegli artisti che si occupano delle donne, forse essendo consapevole, da donna, di quanto fosse difficile, di quanto arduo fosse coglierne l’ essenza.  L’ essenza dell’ essere donna, descritta e dipinta da un uomo, come quasi sempre accade, spesso si frantuma come schegge di specchio, una cattura la bellezza delle forme, l’ altra lo sguardo intrigante, poche si incontrano a catturare l’ anima, rare ridanno, nell’ opera d’ arte, il fascino muto della persona, ma quasi nessuna scheggia cattura l’ essenza.
Concesso che l’ artista ami la donna, non una particolare, non necessariamente, ma ami la femminilità, la bellezza e la grazia, già per questo si può considerare aperta la via alla magia con cui l’ arte si impadronisce dell’ essenza vitale della donna, qualsiasi sia la forma che ella prende nell’ opera e pur tuttavia siamo ancora lontani dal fornire alla forma bella il suo soffio, la sua vita.
Occorre un uomo che sappia amare intensamente, generosamente spendersi, coraggiosamente lottare, che sappia dimenticarsi di se stesso donandosi, che sappia il dolore e la perdita, che sia cosciente, per come può, della germinazione della vita e del suo sciogliersi nella morte: poiché questo è l’ essenza dell’ essere donna.
Occorre un uomo che sia compiutamente uomo per comprendere, e un artista che sia davvero tale per restituire, nella forma dell’ arte sua propria, il mistero, la forza e l’ enigma della femminilità.
Uno di questi rari artisti che porta a compimento tale processo è Walter Madoi, un uomo che ha conosciuto direttamente la lotta, l’ amore, la passione, la vita e la morte, la bellezza ed il dolore; una vita non lunga, segnata da esperienze intense, sofferte, percorsa da ferite e cicatrici, come quella di molte donne, di ogni donna, anzi, in cui il cuore e l’ anima sono stati gettati “al di là della siepe” a servire la vita e l’ anima degli altri.
Così, durante il percorso della sua pittura, Madoi ha dipinto le donne e ne ha colto il senso infinito: la Mater dolorosa delle Deposizioni, vecchio volto eterno del dolore e dell’ amore, è identica alla Madonna giovane e delicatamente bella nel suo velo azzurro, il capo appena reclino e lo sguardo pensoso perso nella contemplazione del Mistero.
Tutto sta nelle diverse declinazioni che si sgranano tra questi estremi, tutto il dipingere le donne di Madoi sta nel suo amore per la vita e per la morte.
E’ un sentimento duro, scavato come le pietre  lavorate a raspa delle sue sculture, pietre che gravano sul capo della Madre, la schiacciano nel suo dolore, l’ avvolgono come il sudario del Figlio.
Mai nel lavoro dell’ artista parmense viene meno questo sentimento drammatico, che certo le diverse esperienze della sua vita hanno reso più intenso e consapevole, è un sentimento assorto, sospeso alle soglie del dramma, tutto contenuto negli occhi: gli occhi delle donne di Walter Madoi sono laghi grandi e oscuri, profondi come le buche del Fiume, insondabili, essi sono comuni a tutte le sue figure femminili, le teste, i ritratti.
Volendo lasciarsi coinvolgere dalle assonanze, formular paragoni, come non riannodare i volti delle donne di Madoi a quelli delle figure femminili di Lorenzo Viani?  Una uguale consapevolezza li colma, una spessa tragedia li soffoca, eppure, laddove l’ artista si lascia condurre ad una lettura meno turbata e riesce a lasciarsi coinvolgere da una fascinazione più limpida e lirica, i volti non fanno che colmarsi di una assorta e sospesa poesia, i tratti sono talora segnati dalla forza delle linee espressionistiche, e vi affiora un richiamo a Van Dongen, al contemporaneo Francese, o a Motti e a certe contemplative finezze sceniche di Music.  Ed è un gran bene che nella filigrana del dipingere di Madoi siano contenuti germi e impronte dell’ arte del suo tempo, un tempo condiviso, che egli visse con la pienezza e la generosità dell’ idealista e che fu un tempo di contrasti, di violenze e di infinite, di straordinarie creazioni, di genuini artisti.  Fu tempo lacerato e dolente, come sono spesso i visi che l’ artista emiliano va dipingendo, a gruppi, a grappoli dentro i suoi quadri, tanto fratelli dei volti, maschera di morte, di Nolde, ma fu anche tempo di sogni, di speranze e di bellezza, così che talora i ritratti che Madoi va dipingendo sono icone serene, stilizzate ed eleganti sembianze, segnate da linee ondulanti, delimitate da un assetto limpidamente femminile, i perimetri ben delineati, i sogni e le passioni, gli affetti e i compiti ben ordinati dentro la statuaria consistenza dei busti piramidali.
In fondo nulla potrebbe essere maggiormente figlio del proprio tempo, della nuova società borghese e ugualmente figlio della tradizione rinascimentale, dentro alla cronaca e insieme immerso nella storia.
Forse fu questo un’ altro segreto di Walter Madoi: dipingere l’ immediatezza della sua stagione, umana ed artistica, sociale e storica, proprio nel mentre l’ occhio ed il pennello seguivano la via del cuore e coglievano i fiori di carne e d’ anima, le donne e il loro vivere, quasi en pendant  con quelli vizi e secchi, comunque  sofferenti, dentro i suoi vasi, un po’ De Pisis, un po’ Treccani, più di tutto volonteroso di scuotersi via quel senso struggente di caducità, di illusoria freschezza, di smagliante innocenza, che Madoi riserva solo ai bambini, delicatamente, con una pittura in punta di pennello.
I volti, tuttavia, potrebbero non bastare a chi crede che la bellezza del corpo femminile, gravido di segreti e di segni, nido di amore e di vita, sia forse anche più atto a definire l’ espressività della essenzialità donnesca: ai nudi, dunque, si lascia condurre il pennello robusto di Walter Madoi, sgranando corpi nel suo sintentico linguaggio, corpi che sanno più d’ architettura che di carne eppure ugualmente eleganti, talora sensuali, più spesso goticamente spirituali, deprivata la materia quanto possibile, resi scansione lineare e percorso spaziale.  Non è più in lui la lingua madre della tradizione padana del realismo, quella delle opere giovanili e dell’ immediato dopoguerra, ma una più duttile e snella evoluzione della pittura di studio, nella quale il nudo figura come uno dei passi obbligati d’ accademia.
E’, quella del secondo dopoguerra, una stagione feconda per la trattazione di tale soggetto, si va dal Cantatore al Guttuso, dal Dova al Sironi, dal Cassinari al Sassu, passando dai maestri di Brera agli allievi, come appunto Madoi, in una temperie comune in cui la corposità è da un lato inserita nella cultura mediterranea ancestrale e dall’ altro diviene elemento di rinnovamento del linguaggio, dopo l’ esperienza delle Avanguardie e del Novecento.  La sigla del pittore parmense è non solo leggiadramente spirituale, di linearità sobria e sdutta nelle linee, sicura derivazione di una assolutizzazione dei contenuti, ma anche cromaticamente più ardua, meno legata alla realtà effettiva e più idealmente attinente ad una tavolozza essenziale e minimale, né troppo vicina al Chiarismo né padanamente intrisa degli umori della verità: una aromaticità tendenziale che tal volta appena si infrange e si colora tenuemente, una cifra che va oltre il vero e che liricamente lo assimila all’ universale e lo depone senza esitazioni nel grembo dello spirito, come una madre, una donna, un’ amante.
Ho iniziato con l’ affermare che il senso stesso dell’ essere donna è difficile da cogliere ed ora vorrei concludere con una consimile riflessione: è difficile, terribilmente difficile, comprendere oggi la qualità e l’ altezza cui pervennero artisti come Walter Madoi, senza aver fatto esperienza di un tempo della storia che pare non più appartenerci, da quel tempo di ideali, di passioni e di libertà sono venuti all’ arte uomini, prima ancora che artisti, ed è nata una delle stagioni  più ricche e fertili dell’ arte italiana, una stagione di esperienze, di polemiche, di incontri, in cui sono confluite le sontuose eredità del passato che hanno alimentato il crogiuolo dei nuovi linguaggi, in ogni esperienza entrando la sostanza nell’ arte, che è ricerca e fatica, uno spendersi continuo ed un darsi che guarda solo al suo proprio fine, in cui l’ artista è strumento e mezzo, in cui l’ arte non è vuoto suono e cieco, ma ideale in cui confluisce la vita.
Così Walter Madoi ha amato l’ arte come si ama una donna, tutte le donne di Madoi.